La solitudine non è solamente un sentimento personale, scaturisce da un bisogno innato di relazione con i propri simili. La sua intensità dipende dalla qualità dei rapporti interpersonali, soprattutto in particolari fasi della vita. La solitudine può essere definita una sofferenza alimentata dalle condizioni dell’ambiente.
Per un bambino di tre/quattro anni, la solitudine è collegata all’umore dei genitori: “quando la mamma mi sgrida”, “quando mi puniscono perché sono cattivo”, “quando papà è arrabbiato”, etc. Il mondo del bambino di quell’età è rappresentato soprattutto dalla famiglia. Per l’adulto l’ambiente sociale si allarga e la solitudine è percepita in modo più ampio, mi sento sola/o quando: “nessuno mi considera”, “sono criticato”, “a nessuno importa dei miei problemi”, “non mi ama nessuno”, “non ho nessuno da amare”. Ci sono differenze tra individuo e individuo, ma la costante è la presenza delle persone che ci circondano. Ogni individuo sente di esistere e di valere qualcosa come essere umano se riesce a stabilire relazioni positive dove sentirsi riconosciuto, considerato e rispettato per quello che autenticamente è. La persona ammirata per la maschera sociale che indossa è una persona profondamente triste.
La paura della solitudine e soprattutto la sua intensità può dimostrarsi invalidante nel processo di crescita personale. Se una persona teme che l’invidia altrui possa trasformarsi in ostilità nei suoi confronti, al punto da emarginarla e lasciarla sola, si sviluppa una distruttiva fase di auto-limitazione dei propri potenziali. Si pensi alle situazioni dove un ragazzo o una ragazza rinuncia all’amore perché il partner non è gradito ai propri familiari, oppure all’impossibilità di assecondare le proprie passioni e il proprio talento per aderire alle attese del narcisismo dei familiari (mio figlio sarà avvocato come il padre, mia figlia sarà un insegnante come la madre, etc.). La paura di differenziarsi dal nucleo familiare o da un gruppo di appartenenza può produrre confusione, tensioni muscolari, negazione, in una miscela di emozioni dove il senso di colpa è un ingrediente sempre presente. Il tentativo di focalizzare un proprio desiderio si scontra con la difficoltà ad individuarlo con chiarezza. Quando chiedo ai miei pazienti: “quale desiderio riconosce in questo momento della sua vita?” Sento tutta la difficoltà nel formulare un desiderio con chiarezza, ad esprimerlo sinteticamente, a visualizzarlo e nutrirsi del piacere anticipatorio che solo un “sogno nel cassetto” può alimentare. A volte la risposta è: “a che serve?”, Si tratta di persone, a volte mature, arrese alla vita, una vita densa di insuccessi, di paure e sensi di colpa scollegati dalla realtà. Sono individui compressi, schiacciati dai limiti propri della rete sociale di appartenenza; rinunciano alla propria esistenza libera per paura di rimanere soli, criticati, stigmatizzati, derisi. Perdono la capacità di osare a sognare una vita piacevole, piena, vibrante. Per paura della solitudine rinunciamo alla nostra ricchezza interiore, per timore dell’emarginazione sopportano umiliazioni, prevaricazioni, maltrattamenti. Imprigionati dal peso dei limiti familiari, annebbiamo il nostro diritto ad essere liberi di affermare il diritto di una vita gioiosa e giocosa, dove il sorriso rappresenta l’alba di tutte le mattine.Il terrore emotivo che prova il neonato quando non si sente guardato, carezzato, accolto, amato e sostenuto dalla madre, si declina nella vita adulta in disperazione, dolore e incessante ricerca della riparazione di quell’antica ferita. La psicoterapia può aiutare l’uomo privato della gioia e della base sicura dal punto di vista affettivo. Il tentativo di ricercala nella vita di relazione tra pari rinforza l’illusione di non essere amabili. Illusione generata nell’infanzia. Una madre depressa o ansiosa non riesce a raggiungere il bambino con il proprio amore, l’estraneità psicologica del depresso fallisce nel contatto intimo e intenso, la presenza fisica non è la presenza emotiva. Una madre limitata non è da condannare, occorre comprendere che può donare solo quello che ha, a sua volta non ha ricevuto e non può donare ciò che non le appartiene in termini emotivi e affettivi. Anche lei avrebbe bisogno di un aiuto, di un affetto vero, empatico, competente, adeguato. Se l’adulto riceve l’amore, il sostegno e la comprensione di cui ha bisogno, allora sarà in grado di percepire a livello inconscio quello che il bambino esprime in modo non verbale. Avere la forza di chiedere aiuto da adulti rappresenta l’atto eroico della propria esistenza, l’amore per i propri figli, per se stessi e per le persone vicine affettivamente consente di intraprendere un percorso di analisi, cura, comprensione, consapevolezza di sé, che precede l’autentica espressività e la gioiosa padronanza dei processi integrati: corporei e mentali. La salute mentale é salute corporea e viceversa, indispensabile per interrompere l’inesorabile coazione a ripetere il destino della propria progenie.Dott. Cosimo Aruta
Psicologo, Psicoterapeuta, Analista Bioenergetico, Supervisore
Iscritto all’Ordine degli Psicologi della Lombardia con il n° 12147
psicoterapia individuale – cura dell’ansia, della depressione, dello stress del disagio relazionale ed esistenziale
psicoterapia di coppia – meccanismi inconsci possono condizionare gioie, liti, conflitti, tradimenti e incomprensioni familiari
psicoterapia di gruppo – di analisi bioenergetica, la conduzione che si struttura anche attraverso il linguaggio del corpo
colloquio psicologico – è un incontro tra uno psicologo e una persona che lo contatta a causa di un malessere
ansia e attacchi di panico – la respirazione corta è condizionata da difese caratteriali per la sopravvivenza infantile
depressione, calo di energia – inchioda l’individuo, tristezza, sconforto, disagio, malinconia, si impossessano di lui
problemi caratteriali, relazionali – bisogno di intimità e auto espressione, paura che i due elementi possano escludersi