Il ruolo del giudice impone l’astinenza da ogni forma di comprensione empatica. Il giudice non deve in nessun modo identificarsi con la persona giudicata, il suo compito è quello di emettere una sentenza nel rispetto delle regole concordate (leggi codificate), senza che i suoi sentimenti personali possano influenzare la decisione.
Non possiamo aspettarci tale obiettività e concretezza da un genitore, una relazione impersonale e distaccata non è in nessun modo assimilabile a quella tra genitori e figli. Tuttavia, se i sentimenti personali dominano la scena l’interazione relazionale apparirebbe non autentica, falsa, ingannevole.
L’illusione dei genitori nel loro rapporto con i figli è insita nella pretesa di poter essere contemporaneamente:
- Amorevoli e obiettivi,
- Coinvolti e distaccati.
Questa posizione costringe i genitori a negare i propri sentimenti perché risulterebbe imbarazzante ammetterli. In questa situazione possono accusare un bambino di essere disobbediente quando il suo comportamento è una reazione all’ostilità dei genitori. Possono anche dimostrarsi inflessibili e non intenerirsi di fronte al pianto del piccolo, giustificandosi dietro la maschera della ferma disciplina; quando nella realtà il pianto li disturba perché li mette in contatto con la sofferenza patita dal loro bambino. Questo circolo vizioso alimenta l’identificazione con l’aggressore , si negherà al bambino un piacere per invidia, alimentata dalla storia personale del genitore: a lui quel piacere è stato negato quando era bambino. Credendo di fare la cosa migliore per i figli, tali genitori ingannano se stessi, credono nella disciplina e nella punizione come il solo modo di aiutare i figli nel loro prezioso percorso di crescita. Pensare che infliggendo una punizione dolorosa si ottenga un effetto positivo sulla personalità del fanciullo è un modo per ingannare se stessi. Una punizione è efficace solo se provoca paura, in modo da rendere il bambino sottomesso, ma sottomissione e amore non potranno mai coabitare. Genitori di questo tipo otterranno ubbidienza ma non amore, per poi stupirsi molti anni dopo delle poche attenzioni e dei pochi gesti amorevoli che il bambino diventato adulto sente nei loro confronti.
- Questi adulti che da piccoli furono trattati con durezza come si comporteranno con i loro bambini?
- Ricorderanno la sofferenza patita?
- Potranno superare questo “anatema” transgenerazionale?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo analizzare cosa succede al bambino maltrattato. I bambini a differenza degli adulti non possono scegliere, dovranno accettare gli inganni agiti dai genitori. L’amore e l’approvazione dei genitori è importante come l’aria che respirano, attraverseranno un primo periodo di ribellione e lotteranno per ottenere la comprensione di cui hanno bisogno. Purtroppo i loro sforzi alimenteranno unicamente la rabbia dei genitori, saranno visti e trattati come selvaggi da domare, il risultato è drammatico. Questi bimbi accetteranno il pensiero che ci si deve meritare l’amore e guadagnare il piacere, fino al punto da credere di non essere stati amati perché non lo meritavano. Il bambino penserà che questa è la regola universale, che si faccia altrettanto anche nelle altre famiglie e si adatterà: “se questo è il modo di vivere mi atterrò alle regole anch’io, starò al gioco”. I piccoli adotteranno gesti, posture, timbri vocali, linguaggi dei loro genitori nei giochi con i coetanei. Spesso si sentono bambini pronunciare frasi in contrasto con la loro naturale innocenza: “Sei cattivo e devi essere punito”; “Sei cattivo e la tua mamma non ti vorrà bene”.
Non potrà mai ricevere l’amore e l’approvazione di cui ha bisogno perchè è sempre in agguato il demone della perfezione , si tratta di una partita che richiede l’impossibile. La motivazione inconscia dei genitori è di trasferire sul bambino il senso di colpa che hanno per non essere genitori amorevoli. Il bambino accetterà il senso di colpa per non perdere l’illusione di poter ottenere ancora l’amore dei genitori. Nella realtà genitori in questa situazione senza un percorso personale non hanno accesso alla capacità di sentire nel profondo ed esprimere tutto l’amore che nutrono per il loro bambino.
Il contrario della disciplina non è la permissività.
La permissività è diseducativa per i bambini, un genitore permissivo è un genitore disorientato, conosce la disciplina, non vuole applicarla, ma non sa con cosa sostituirla. Per evitare l’immagine del tiranno abbraccia il ruolo del despota benevolo. Attraverso questo angolo di visione la permissività rappresenta il risultato dell’incompetenza. Il bambino reagirà di conseguenza, mettendo continuamente alla prova il genitore nel tentativo di uscire dalla confusione ed ottenere un minimo di chiarezza sulla sua posizione.
La permissività non riconosce la verità del bambino riguardo i suoi diritti:
- il diritto di essere amato per ciò che realmente é,
- il diritto di sentire il piacere e di cercarlo in tutte le situazioni disponibili, perché il piacere è il motore della vita,
- il diritto di poter esprimere liberamente i propri sentimenti.
Tutti gli adulti desiderano riconoscere e rispettare per se stessi gli stessi diritti, tuttavia se li negano a loro stessi, li negheranno anche ai loro bambini. Un genitore non dovrebbe sentirsi nel diritto di concedere o negare questi diritti. Permettere a un bambino di esprimersi autenticamente implica che il permesso potrebbe essere sospeso o negato. Per privare un piccolo di questi diritti occorre usare il potere. Per questo motivo la permissività non equivale all’amore, nell’ambiente permissivo il bambino dovrà vivere con regole vaghe e confuse. Nella confusione anche la sua natura e le sue naturali inclinazioni non potranno essere adeguatamente viste e valorizzate. Le richieste emergeranno tra la nebbia dell’umore dei genitori che comunicheranno la loro disapprovazione in modo diretto o indiretto. Il figlio sarà attratto da movimenti di protesta e di ribellione, approfittando dell’ambiente permissivo sperimentato nella sua famiglia. Potrà essere indotto all’uso di sostanze per non sentire la sofferenza di questa vita confusa. Il problema della permissività è che si tratta di un atteggiamento negativo, alimentato dalla filosofia del “qualsiasi cosa va bene”, che può essere tradotto in “niente funziona”.
Un rapporto funzionale genitori-figli non dovrebbe essere ispirato né alla permissività, né ad una disciplina rigida, ma ad un’autodisciplina.
L’autodisciplinaè il risultato della consapevolezza di sé e dell’auto-espressione, che necessariamente comporta concetti come la padronanza di sé e la misura. Il genitore che esercita l’autodisciplina incoraggerà il bambino a sviluppare la medesima funzione consentendogli di assumersi sempre maggiori responsabilità per la soddisfazione dei propri bisogni. L’autodisciplina affonda le sue radici nell’autoregolazione, che ha origine nella prima infanzia attraverso il nutrimento a richiesta. Il bambino che si regola da sé acquisterà fede nel proprio corpo e nelle proprie funzioni corporee. Diventerà una persona diretta dall’interno e capace di auto-disciplina. L’autoregolazione è primariamente connessa alle funzioni del corpo: al bambino si consente di determinare quando e cosa mangerà entro i limiti delle disponibilità di alimenti ed inoltre di stabilire quando e come farsi tenere in braccio entro i limiti del tempo disponibile ai genitori. Non sarà obbligato a giungere al controllo dello sfintere anale sulle funzioni escretorie finché non vi sia fisicamente e psicologicamente pronto, il che avviene tra mediamente tra i due anni e mezzo e i tre anni di età. L’auto-regolazione accetta un bambino per quello che realmente é e non approva la filosofia del “qualsiasi cosa va bene”, perché il piccolo é un individuo unico ed ha diritto di essere visto, riconosciuto e sostenuto proprio per la sua unicità.
L’auto-regolazione non significa che un genitore non debba dettare delle regole o porre dei limiti alle azioni del bambino. Una posizione di questo tipo porterebbe al caos. Il bambino si aspetta guida e comando dai suoi genitori. Le regole e i limiti sono necessari se si vuole che il bambino abbia nozione della sua posizione. Ma le regole non dovrebbero essere rigide e i limiti non dovrebbero essere inflessibili, poiché hanno lo scopo di favorire la sicurezza del bambino e non di negargli la libertà.
Soprattutto le regole non possono essere arbitrarie; devono avere una relazione diretta con il modo in cui vivono i genitori: cioè essi dovrebbero soggiacere alle stesse regole fondamentali che impongono ai loro figli. Ad esempio, se la regola è di non urlare nel corso dei conflitti familiari, i genitori dovranno per primi dare il buon esempio al bambino.
Un genitore amoroso non è né permissivo né fanatico della disciplina. Può essere descritto come un genitore comprensivo. Comprende il bisogno che ha il bambino di amore, di accettazione incondizionati. Comprende anche che non si tratta di parole ma di sentimenti espressi nell’azione. Il bambino ha bisogno di intimità fisica con entrambi i genitori. Ha bisogno di contatto corporeo specialmente durante la prima infanzia: ha bisogno di essere tenuto in braccio e di essere coccolato e che si giochi con lui. I genitori amorevoli vogliono vedere felici i loro figli. (Alexander Lowen, La depressione e il corpo, capitolo VI, pag. 142, Astrolabio, Roma, 1980)
Vogliono che il loro bambino si goda la propria vita, ma per sentire e agire questo desiderio devono in prima persona essere persone aperte al piacere e all’amore, persone sorridenti che approfittano di ogni occasione di piacere per godersi la propria vita. Possiamo trasmettere solo quello che conosciamo.
Dott. Cosimo Aruta
Psicologo, Psicoterapeuta, Analista Bioenergetico, Supervisore
Iscritto all’Ordine degli Psicologi della Lombardia con il n° 12147psicoterapia individuale – cura dell’ansia, della depressione, dello stress del disagio relazionale ed esistenziale
psicoterapia di coppia – meccanismi inconsci possono condizionare gioie, liti, conflitti, tradimenti e incomprensioni familiari
psicoterapia di gruppo – di analisi bioenergetica, la conduzione che si struttura anche attraverso il linguaggio del corpo
colloquio psicologico – è un incontro tra uno psicologo e una persona che lo contatta a causa di un malessere
ansia e attacchi di panico – la respirazione corta è condizionata da difese caratteriali per la sopravvivenza infantile
depressione, calo di energia – inchioda l’individuo, tristezza, sconforto, disagio, malinconia, si impossessano di lui
problemi caratteriali, relazionali – bisogno di intimità e auto espressione, paura che i due elementi possano escludersi