Sovrappeso e obesità

Alla base del disturbo che trasforma una persona appesantendola oltre il fisiologico, si trova un bilancio energetico positivo: la quantità di energia chimica assorbita dalla alimentazione supera il dispendio energetico totale dell’individuo. Gli obesi e le persone in grave sovrappeso in generale ingeriscono e assimilano più cibo di quanto necessitano.

donna_obesa_botero

Oltre a questa base si aggiunge frequentemente un metabolismo basale basso (limitata vitalità ed energia) e una tendenza ad adeguare il metabolismo ad una quantità minore di cibo, in modo da dimagrire, quando si sottopongono a dieta ipocalorica, meno delle persone di peso normale.

Nella persona in sovrappeso è presente un’alterazione del normale meccanismo di controllo della sazietà. Pudel (1967) sostiene che il desiderio di cibo negli obesi sia influenzato più da stimoli esterni che da stimoli fisiologici interni. Questi pazienti non hanno la percezione del loro appetito, non sanno quando hanno fame e quando no; il loro appetito è condizionato da stimoli esterni (visione di un piatto di pasta, visione di una persona che mangia con gusto, etc.) e da diverse forme di disagio e inquietudine.

La bulimia e il costante desiderio di mangiare non sono espressioni di un aumentato bisogno di energia (metabolismo – cibo) da parte dell’organismo. Si scatena il loro appetito quando si trovano ad affrontare conflitti e problemi personali. Questo fenomeno è provocato da un meccanismo psichico noto come regressione e i modelli infantili strutturati nell’inconscio reagiscono per tentare di superare i sentimenti di disagio e sofferenza. Il cibo diventa una gratificazione o una consolazione, sicuramente un modo per cercare di soddisfare bisogni emotivi non realizzati.

Obesità e anoressia hanno un comune denominatore, la dipendenza da bisogni orali. Nell’obesità la fissazione è espressa attraverso una dipendenza positiva attiva, come la sovralimentazione coatta, mentre nell’anoressia la conversione avviene con la forma negativa passiva, come il rifiuto di nutrirsi.

Freyberger e Struwe (1962 – 1963) classificano gli obesi in quattro gruppi principali in relazione alle abitudini alimentari:

Il divoratore. E’ improvvisamente sopraffatto da un bisogno vorace di cibo, il suo desiderio intenso di mangiare diventa incontrollabile e ne consuma enormi quantità prima di sentirsi soddisfatto. Possiamo definire questa situazione un estasi orale.

Il mangiatore continuo. Il bisogno di cibo inizia con il risveglio e rimane permanente per l’intera giornata. Consuma cibo a qualsiasi ora ed è incapace di rispettare i pasti principali della giornata limitandosi ad essi. Questa condizione non provoca in lui alcuna sofferenza, al contrario la sua condizione psicologica è piuttosto soddisfacente.

L’insaziabile. Non è condizionato dagli elementi finora descritti, questo paziente quando comincia a mangiare il suo appetito non conosce limiti.

Il mangiatore notturno. E’ colpito da un desiderio irrefrenabile di cibo solo dopo il tramonto. Inoltre presenta le caratteristiche dell’insaziabile, per quanto cibo consumi la sua fame non si placa. Il sonno è disturbato perché si sveglia frequentemente per mangiare, tuttavia non ha appetito il mattino seguente.

Bruch (1957) ha dimostrato come l’obesità possa essere innescata dai genitori se questi rispondono sistematicamente a qualsiasi richiesta del bambino offrendogli qualcosa da mangiare e se l’attenzione che gli danno dipenda dalla sua accettazione del cibo. Questi modelli comportamentali riducono la forza dell’Io, così che le frustrazioni non possono essere affrontate e nemmeno rielaborate; devono urgentemente essere compensate con dei “rinforzi” costituiti dalla gratificazione/soddisfazione nel consumare cibo. Negli obesi si riscontra spesso una forte fissazione sulla madre.

Petzolde Reindell (1980) mostrano il dominio materno in queste famiglie e il ruolo di secondo piano del padre. Brautigam (1976) descrive come queste madri danneggino lo sviluppo motorio del bambino (lo limitano nel movimento che è alla base del gioco), in questo modo è conseguentemente limitata anche la capacità sociale, rinforzata dalle eccessive attenzioni della madre. Ne consegue per il piccolo una fissazione di tipo passivo-ricettivo.

Dal punto di vista profondo e psicosmatico, il gran volume di barriera adiposa è un tentativo di realizzare un confine in risposta alle aggressive invadenze materne. “Non sono in grado di distanziarti emotivamente, il mio corpo lo farà per me”. L’iperfagia, la ridotta attività fisica, la limitata vitalità, alla base del conseguente aumento di peso offrono una certa protezione contro il sentimento di inadeguatezza e di sradicamento (aderenza con la realtà). Essere grossa fa sentire la persona obesa forte e protetta.

La regressione dell’obeso al modello infantile di equiparare il cibo all’amore fa sì che egli cerchi spesso consolazione nel cibo per l’affetto che gli manca. (B. Luban – Plozza W. Poldinger F. Kroger, Il malato psicosomatico e la sua cura, Astrolabio, Roma, 1992, parte II° – pag. 69)
Dr. Cosimo Aruta
Psicologo, Psicoterapeuta, Analista Bioenergetico
Iscritto all’Ordine degli Psicologi della Lombardia con il n° 12147